giovedì 7 gennaio 2016

Quando la qualità non basta


Se mi chiedessero di descrivere la partita-tipo dell'Epifania, probabilmente, farei riferimento alle possibili difficoltà fisiche di entrambe le squadre, magari evidenziando che la spia della riserva si accende quasi per definizione dopo un'ora di gioco; ritmi bassi; transizioni da una parte all'altra guidate solo dagli elementi più in forma e qualche errore gratuito che non guasta mai.

Un po' come le partite di agosto, ma tutto in misura minore perché, dopotutto, l'ultima volta mancavano pochi giorni a Natale, poco più di due settimane prima, non tre mesi.

Tuttavia, questa descrizione sta un po' stretta ad Empoli-Inter, che ha proposto diversi spunti interessanti, e ha visto la squadra di casa battagliare con tutte le energie a disposizione fino alla fine per cercare quel gol del pareggio che alla fine non è arrivato anche per mancanza di quella lucidità di cui sopra, chiudendo il match con l'ennesima vittoria di misura da parte dei nerazzurri ripescando, di fatto, temi già trattati da entrambe le formazioni nelle precedenti gare della stagione. Al triplice fischio dell'arbitro le squadre hanno abbandonato il tappeto verde del Castellani tra molte certezze e pochi interrogativi. 

La formazione di Giampaolo, scesa in campo con il consueto 4-3-1-2, è riuscita ad offrire al suo pubblico il solito fraseggio elegante fatto di tocchi ravvicinati tra i tanti giocatori della zona nevralgica: gli ormai consolidati Paredes, Büchel, Zielinski e Saponara sono un lusso in quanto a qualità tecniche per una squadra che dovrebbe lottare per non retrocedere. Sempre ben supportato dalle punte Pucciarelli e Maccarone, e dai quattro difensori in linea Mario Rui, Barba, Costa e Laurini, il rombo di centrocampo empolese riesce sempre a creare le condizioni per muovere il pallone, anche in spazi stretti. L'Inter, dal canto suo, ha presentato un iniziale 4-3-3 con D'ambrosio, Miranda, Murillo e Nagatomo davanti ad Handanovic; Medel affiancato da Kondogbia e Brozovic in mezzo; Perisic, Ljajic ed Icardi in attacco.

Il 2015 racconta che la formazione di casa ama creare ragnatele di passaggi ad inizio azione, facendo però del lancio lungo il detonatore che innesca le bocche da fuoco della prima linea (più di una volta Handanovic è intervenuto fuori dai confini della propria area di rigore per intercettare traiettorie insidiose), finendo per alzare parecchio il ritmo della gara quando detiene il possesso. Anno nuovo, abitudini vecchie. Ad Empoli la musica non è cambiata, anzi, contro l'Inter si è visto di frequente il movimento in diagonale di una delle due punte (spesso Big Mac, meno volentieri Pucciarelli) per ricevere la palla lunga in posizione defilata, dato che i centrocampisti rimangono stretti in mezzo e i terzini rompono i ranghi difensivi solo se inseguiti da un leone. Fondamentale, dunque, il lavoro degli attaccanti ad allargarsi per creare varchi centrali agli accorrenti incursori, incaricati di arrivare alla conclusione: non è un caso che una mezzala come Büchel sia il giocatore che ha realizzato il numero più alto di tiri della sua squadra (5) nei 90' in questione.

Tuttavia, la difficoltà nel mandare alla conclusione gli attaccanti ha presentato un conto piuttosto salato, facendo capire ai toscani cosa significhi giocare contro la squadra più cinica del torneo (ben sette vittorie per uno a zero nelle prime 17 giornate).

I nerazzurri prediligono un gioco lineare ma anche lento, talvolta fin troppo compassato, cercando di non perdere gli equilibri tra i reparti per imbastire azioni offensive, potendo comunque fare affidamento su un pacchetto di attaccanti in grado di creare occasioni pericolose anche da situazioni di stallo. 

Mentre la combinazione per aprire lo scrigno interista si trasformava, con il passare dei minuti, in un enigma irrisolvibile anche per il cervellotico centrocampo di Giampaolo, le iniziative per trovare l'oro da parte dei nerazzurri facevano lentissimi progressi. Con Icardi ben ingabbiato tra i due centrali difensivi e costretto ad una partita di sacrificio, sponde, molti contatti ruvidi con gli avversari e pochi degni di nota con il pallone, l'Inter ha cercato di iniziare le sue azioni prendendo quello hanno lasciato gli avversari: spazio ai terzini. Come da schema, lungo le corsie laterali gli ospiti disponevano di una superiorità numerica (terzino + ala vs terzino) volutamente non bilanciata dall'Empoli per non rischiare di perdere il controllo della zona centrale. I terzini di Mancini hanno avuto per tutti i 90' campo libero fino alla trequarti avversaria,  senza riuscire, però a trarne vantaggi significativi. Questa particolare situazione di gioco evidenzia una scelta sistematica della squadra di Giampaolo: in fase di non possesso gli attaccanti fanno un  tentativo di pressing (in questa partita, specialmente nella ripresa, è stato spesso un tentativo blando, ma è anche la prima gara dopo la sosta), se questo fallisce, la priorità diventa scappare all'indietro fino al limite dell'area e fare densità centralmente costringendo gli avversari a dirottare il gioco sui piedi dei terzini. Una scelta, questa, che spesso paga buoni dividendi, verosimilmente a causa dell'assenza di terzini "autosufficienti" offensivamente in Serie A (a mio parere Bruno Peres, Alex Sandro e Marcos Alonso sono gli unici che rientrano in questa speciale categoria di terzini in grado creare occasioni pericolose da situazioni di stallo).

La scelta dell'Empoli di lasciare campo ai laterali bassi è stata messa maggiormente in evidenza nella ripresa, quando Mancini ha portato in zone centrali Perisic e Ljajic (creando una sorta di 4-3-2-1) avvicinando i due migliori palleggiatori della formazione per congelare il possesso e cercare qualche spunto in più da una loro azione congiunta.

Va detto che Mancini si è visto quasi costretto ad avvicinare i due giocatori a supporto di Icardi, perché la sterilità offensiva dei nerazzurri non aveva creato fino a quel momento, alcunché di pericoloso dalle parti di Skorupski. Fa eccezione, immancabilmente, il gol di Icardi, comunque figlio di uno spunto individuale di Perisic che dalla sinistra ha bruciato Laurini (che a dire il vero ha sofferto praticamente tutte le situazioni di 1 contro 1 con il croato) e guadagnato il fondo per servire al bomber argentino un assist con l'etichetta "spingere in rete" a ridosso dell'intervallo.

Il Biscione ha dovuto fare i conti, ancora una volta, proprio come in tutto il 2015, con le difficoltà nel creare pericolo da azioni corali. Anche al Castellani non sono mancati lanci dalla difesa all'attacco per catapultarsi in avanti, ma le buone letture, individuali e di squadra, della difesa empolese hanno generato solo palle perse per gli uomini di Mancini.
Logico puntare il dito, in casi come questo, contro la mancanza di fosforo nel centrocampo: a Brozovic manca ancora qualcosa in fase di impostazione, un ultimo passo in avanti, in questo senso, lo porterebbe ad essere un giocatore davvero completo, ma è giovane e quanto fatto nelle ultime settimane dell'anno appena concluso è comunque lodevole. Discorso differente per Medel, che in fase di impostazione non ha mai avuto grandi idee e tanto meno grandi qualità tecniche per metterle in atto, ma Mancini sa che a lui deve richiedere un altro tipo di lavoro, dunque va bene così.

Rimane Kondogbia (per focalizzare sui 3 in campo in questa partita), dal quale tutti si sarebbero aspettati qualcosa di più (soprattutto dopo le cifre spese per portarlo a Milano), ma nel giovane francese, forse, si cerca qualcosa che non c'è o ancora non ha mai fatto. La sua gara del Castellani riassume la sua esperienza interista sin qui: fa bene quel che ha sempre fatto bene, cioè coperture difensive, tagliare le linee di passaggio avversarie, offrire uno scarico comodo alla difesa in fase di costruzione e qualche progressione palla al piede che possa dare un saggio di cosa potrebbe fare se solo imparasse a controllare contemporaneamente il pallone e quella somma di potenza, esplosività e resistenza che è il suo corpo.
Kondogbia in azione contro Zielinski,
i due si sono incrociati spesso in campo
Per esigenze tattiche viene spostato dalla posizione di mezzala sinistra a mezzala destra e poi gli viene data la licenza (o l'obbligo) di allargarsi ancor di più in posizione laterale, palesando un calo sensibile nella performance. Una testimonianza del fatto che se i miglioramenti procedono più lentamente del previsto -diciamo anche di quanto speravano i tifosi- è perché difficilmente si trova a suo agio in posizioni che non comprendono quel quadrato del campo che va dallo spigolo della sua area alla trequarti avversaria, esclusivamente sul lato sinistro del terreno di gioco. Inoltre le difficoltà nel palleggio della sua squadra complicano l'equazione mettendo in primo piano la scarsa propensione ad un'impostazione che possa definirsi migliore di "elementare" (comunque non differente da molti dei suoi compagni di reparto).


La qualità del palleggio empolese può dirsi decisamente superiore a quella nerazzurra, ma anche in una partita dove le energie fisiche rischiavano di essere limitate, la solidità della formazione di Mancini ha avuto la meglio sulla tecnica dei rivali.
Giampaolo, complessivamente, può essere soddisfatto per quanto fatto vedere dai suoi ragazzi contro una squadra molto ostica e difficilmente attaccabile quando si chiude in difesa. I 27 punti conquistati sin qui sono un bottino quasi sorprendente, ma giustamente guadagnato sul campo facendo dell'armonia e della cura dei dettagli i principi cardine del proprio sistema. Un messaggio innovativo ed interessante proveniente da una squadra, teoricamente, di bassa classifica. Che poi, ormai, tanto bassa non è.
L'Inter, invece, ha portato a casa i tre punti con il minimo vantaggio, ma non il minimo sforzo, dimostrando che un possesso palla studiato e articolato ed un gioco spumeggiante non sono condizioni necessarie per avere la meglio sull'avversario, soprattutto non è l'unica strada per fare risultato. Una storia che abbiamo sentito già molte volte dall'inizio del campionato, che si è ripetuta ad Empoli e chi sa quante altre volte da qui all'ultima partita.

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